
Tratta da laprensalibre.cr
di Lea Melandri*
Il femminismo a Milano – Anni Settanta. Terza puntata: “Il Collettivo di via Cherubini 8. Dall’autocoscienza alla pratica dell’inconscio” (le puntate precedenti: Fuori tema. Tracce di storia dei movimenti, Demau e Rivolta Femminile)
Fin dai suoi inizi nel femminismo milanese si delineano due filoni principali: da un lato quello corrispondente ai gruppi che privilegiano la pratica dell’autocoscienza – racconto e riflessione sull’esperienza personale fatta in presenza di altre donne -, dall’altro quello che mette al centro analisi e interventi riguardanti la condizione sociale ed economica delle donne.
Nonostante queste differenti impostazioni, nel corso del ’71, i gruppi milanesi partecipano a incontri comuni, oltre alle riunioni che avvenivano nelle case. Uno di questi fu appunto il convegno che si tenne in giugno all’Umanitaria, a cui vennero anche donne di altre città. Non mancarono conflitti tra le donne del Demau, Rivolta Femminile, Anabasi, Cerchio Spezzato e i gruppi che sostenevano il salario al lavoro domestico, come Lotta Femminista.
Nella primavera del 1972, i gruppi di autocoscienza decidono di darsi un luogo comune. Si apre così quella che sarà la sede storica più nota del femminismo milanese, il Collettivo di via Cherubini 8: una stanza a pian terreno, umida e fumosa ma che si riempiva ogni sabato pomeriggio oltre misura. Alle riunioni facevano seguito cene in massa nei ristoranti della zona. Vi confluirono tutti i gruppi milanesi, ma anche donne che si avvicinavano per la prima volta al femminismo, altre che militavano nei gruppi extraparlamentari o che avevo creato collettivi nei loro quartieri. La pratica condivisa da tutte era l’autocoscienza.
Fin dalla sua apertura, tuttavia, il Collettivo si doterà di una rivista Sottosopra, destinata a raccogliere “le esperienze dei gruppi femministi in Italia”, senza preclusioni ideologiche. Tra i documenti pubblicati, una buona parte venivano da Lotta Femminista, i gruppi che analizzavano il lavoro di cura e il lavoro domestico in chiave economica e anticapitalista. Ne uscirono quattro numeri, tra il 1972 e il 1976. Per un movimento che si basava quasi esclusivamente sulla parola parlata, restano un documento essenziale.
Pochi mesi dopo, in Vandea viene indetto un incontro internazionale tra donne, promosso dal Mlf francese, a cui seguirà nell’autunno un secondo incontro a Chateaux Vieux Villé (Rouen) del gruppo Politique et Psychanalyse. Alcune delle donne che si riuniscono in Cherubini partecipano a entrambi gli incontri, che si riveleranno importanti, soprattutto il secondo (a cui ho partecipato anch’io) per gli sviluppi interni del Collettivo milanese: il passaggio dall’autocoscienza a una riflessione più centrata sulla sessualità, l’inconscio, la relazione tra donne, con riferimento alla psicanalisi. Nell’estate dello stesso anno molte di noi partono per Femo, un’isola della Danimarca, in cui si teneva un campeggio internazionale, che scoprimmo essenzialmente lesbico. Per noi italiane fu un impatto abbastanza duro: eravamo partite con valigie, vestitini da sera, trovammo tendoni militari, sacchi a pelo, meeting per tutta la giornata e un mare impraticabile pieno di meduse.
Più importante, per quanto riguarda lo spostamento di attenzione sui rapporti tra donne, anche per quanto riguardava la sessualità, l’omosessualità, la relazione madre-figlia, fu l’incontro con Politique et Psychanalyse, prima a Rouen e poi in Italia, a Varigotti. Nel 1973 prende corpo la convinzione che non si possono affrontare le problematiche del corpo e della sessualità senza fare riferimento alla psicanalisi. Il rischio era di fare solo ideologia. Di questa svolta verrà dato conto col documento collettivo, Pratica dell’inconscio e movimento delle donne, pubblicato sulla rivista “L’erba voglio”, n.18/19, ottobre 1974-gennaio 1975.
D’accordo su alcuni temi di fondo, nasceranno tuttavia due gruppi con orientamento diverso. Nel 1973 comincia a riunirsi il Gruppo Analisi, il più vicino all’esperienza francese nell’idea di trasferire il rapporto analitico all’interno del gruppo, che diventa così il luogo di elaborazione teorica di quanto emerge dal transfert analista-paziente, entrambe presenti alle riunioni, che si tenevano in una casa privata. A un anno di distanza, tra la fine del 1974 e inizio 1975, seguirà un secondo gruppo, per mia iniziativa: il gruppi di Pratica dell’inconscio, che si riunisce in un club privato, nella serata di chiusura, il Raro Folk, in via Plinio. Più che all’interpretazione critica delle teorie psicanalitiche, il nuovo gruppo si orienta all’analisi di quanto avviene al proprio interno: un’analisi capace di andare alle radici inconsce, immaginarie della relazione tra donne. L’analisi individuale doveva restarne fuori. Non c’era un tema prestabilito, si procedeva per libere associazioni. Entrambi i gruppi si chiudono nel 1976.
Intanto però, per l’interesse che aveva suscitato la pratica milanese, seguita assiduamente dai giornali, il Collettivo di via Cherubini promuove un primo convegno nazionale a Pinarella di Cervia, ai primi di novembre 1974, a cui ne seguirà un altro nelle stesse giornate e nello stesso luogo l’anno successivo, 1975. Arrivarono più di mille donne da città diverse. Fu un’esperienza straordinaria, la prova che si poteva parlare “partendo da sé”, ascoltare e dialogare con la vita personale dell’altra anche in un gruppo di cinquecento, senza relazioni introduttive, senza ordini del giorno, per alzata di mano e senza sovrapposizioni. Una relazione tesa tra individuo e collettivo che non avremmo più ritrovato.
Per quanto riguarda Milano, in quella prima metà degli anni Settanta, il femminismo occupa sulla scena pubblica un posto di primo piano. Le sue pratiche si estendono a luoghi impensati, come le fabbriche (Farmitalia, Siemens), le case editrici (Mondadori), i partiti extraparlamentari, i quartieri, le scuole.
Si inserisce in questo allargamento del femminismo, il tentativo che feci nel 1972 di affrontare con i miei alunni della scuola media di Melegnano il problema della sessualità nella scuola. La conversazione, pubblicata sul n.8/9 della rivista “L’erba voglio”, mi attirò una denuncia da parte dell’insegnante di religione e l’allontanamento dalla scuola in attesa di un processo che per fortuna cadde in fase istruttoria. Erano gli anni in cui si discuteva dell’educazione sessuale, per cui, quando il caso arrivò ai giornali per i quali ero diventata la “Prof del sesso”, quasi tutti furono dalla mia parte. La vicenda lasciò comunque un segno sul mio rapporto col paese, tanto che nel 1976 chiesi il trasferimento a Milano, ai corsi 150 ore per gli adulti.
L’aspetto più interessante di quegli inizi era il fatto di muoversi con libertà tra case private, collettivi, sedi comuni e piazze, strade dove si susseguivano manifestazioni per il divorzio (referendum del ’74), per il cambiamento del diritto di famiglia, per l’aborto e i consultori. All’impegno politico si accompagnava la costruzione di una socialità tra donne inedita, fatta di amicizie, progetti condivisi, amori, feste, vacanze, esperienza di vita in comune, e una libertà mai vista prima di uscire dalle case, riappropriarsi della città, senza paura. Non mi sono mai sentita a casa a Milano come negli accompagnamenti serali in macchina da un quartiere all’altro, con soste e lunghe discussioni davanti ai portoni, prima dei saluti.